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Deva Graf e Kathryn Hillier PDF Stampa E-mail
Scritto da Giudi Scotto Rosato   
sabato 10 marzo 2007

La galleria 404 - annarumma presenta per la prima volta in Italia la doppia personale di due giovani artiste americane: Deva Graf e Kathryn Hillier.
Deva Graf esplora il mondo della comunicazione interiore, soffermandosi sulle problematiche dell'interazione umana. Foto, collages e disegni divengono, attraverso un procedimento di accumulo e sintesi, uno strumento di pura riflessione, un atto metaforico delle infinite e simultanee modalità medianti le quali percepire il mondo ed essere percepiti da esso. Ecco lo specchio fotocopiato: un quadrilatero irregolare, una sorta di buco nero che non riflette l'immagine, ma la blocca in se stesso. Iscrizioni con schizzi, tratti appena accennati e imprecisi, immagini frammentate creano un mondo allusivo, delicato e, tuttavia, chiaro nell'esprimere il rifiuto di una cultura di massa sterile e senza emozioni.
La ricostruzione della identità di una persona scomparsa in un incidente aereo e non rivendicata da alcun familiare rientra in questo spirito investigativo dell'universale attraverso il particolare. Graf carica psicologicamente l'immagine ricostruita, caratterizzandola con tratti somatici estremamente comunicativi: naso grosso, bocca socchiusa, grandi occhi. Il risultato è l'esperienza visiva di una persona atterita, smarrita e disperatamente sola, quasi a prevedere che nessuno avrebbe mai rivendicato la sua identità.
Protagonista dell'esposizione di Kathryn Hillier è la presenza/assenza della figura umana. La fotografa statunitense cerca di catturare i momenti inaspettati e di rilevare le scene ordinarie in un'atmosfera eterea, definita dai confini del tempo. La "citazione" dell'elemento umano si erige sullo sfondo statico di una insolita simbiosi tra il mondo artificiale e quello naturale: il naturale attraverso il filtro dell'artificiale. In Alcove, la vetrata di una casa costituisce le lenti mediante le quali si realizza l'esperienza visiva dello spettatore nel percepire le foglie, i rami di un albero, posto al dilà di un opaco vetro. In The mother of pearl, la luce e il dettaglio dell'immagine museale con al centro l'elemento naturale invadono l'osservatore, sollecitando in lui una serie conflittuale di risposte.
Hillier, tentando di cogliere l'istante in cui l'ordinario si compie, non celebra l'immagine fine a se stessa, ma ne esplora le possibilità espressive. Pertanto, in Hooded Boy-Hyeres, il bambino incappucciato, seduto su una barca dinnanzi a un mare luccicante, è realmente una persona? Del resto si vede solamente un cappuccio, sotto al quale potrebbe esserci anche un manichino...

Pubblicato su:
Viatico, XI, n. 43
marzo/aprile 2007
 
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