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L'uomo, la bestia e la virtù PDF Stampa E-mail
Scritto da Annalisa Dell'Annunziata   
lunedì 18 dicembre 2006

22 novembre – 3 dicembre 2006, Mercadante, Teatro stabile di Napoli
L'uomo, la bestia e la virtù
di Luigi Pirandello
regia Fabio Grossi
con Leo Gullotta, Antonella Attili, Carlo Valli, Gianni Giuliano, Brunu Conti, Silvana Bosi, Valentina Gristina
scene e costumi Luigi Perego
musiche Germano Mazzochetti
luci Gigi Saccomandi

Un grande vaso siciliano con volto di donna, imponente ed affascinante, svela, scomponendosi in due all'apertura del sipario, il tema centrale della commedia: la finzione e l'inganno. Durante una lezione, il protagonista Paolino (Leo Gullotta), nella veste del severo educatore, invita i suoi alunni a riflettere sul significato etimologico della parola attore: dal greco hypokrités, chi agisce simulando doti e virtù che non possiede. E proprio nello spazio della libreria-studio, il luogo della riflessione per antonomasia, Paolino, che fin a quel momento ha simulato di essere un insegnante onesto e rispettabile, rivela di essere al tempo stesso una bestia, nel tentativo di nascondere con l'inganno la gravidanza, annunciatagli dall'amante Messala (Antonella Attili), moglie del Capitano Perella (Carlo Valli). Celare la gravidanza e, quindi la relazione, significa per entrambi salvare l'onore agli occhi della società e proprio per difendere le apparenze, Paolino mette in scena l'inganno: gettare la signora Perella tra le braccia del marito, in occasione della visita di una sola notte, prima di imbarcarsi per un altro lungo viaggio. A questo scopo Paolino fa preparare da un suo amico farmacista un dolce afrodisiaco per favorire e stimolare all'incontro sessuale il Capitano, colui che nella società indossa la maschera della Bestia. Attraverso i suggerimenti che Paolino dà alla signora per rendersi al marito più affascinante e disponibile, la sua presenza alla cena e alla spartizione del pasticcio, prende forma il grottesco stratagemma grazie al quale ognuno dei protagonisti mantiene il proprio ruolo (di virtù o di bestia) nella società. La bestia e la virtù, maschere distinte, sono pronte all'occorrenza a smentire e a smentirsi ferocemente sulla scena, come fantocci animati da una forza incontrollata chiamata istinto di sopravvivenza. Identità violate che si stagliano agguerrite tra le pieghe multiformi dell'ipocrisia umana. La messa in scena di Fabio Grossi rispetta in pieno l'originale tralasciando volutamente e sapientemente l'artificiosità scenica delle maschere a favore di un'interpretazione più diretta e naturale. Costruito come un apologo, il testo, rappresentato per la prima volta a Milano nel maggio 1919 dalla Compagnia Antonio Gandusio, trovava il suo punto di forza proprio nell'aspetto grottesco delle scene e nel trucco caricaturale degli attori, nascosti sotto fattezze bestiali. Ma professando un uso dell'attore in quanto tale, Grossi porta in scena la vera maschera dell'uomo, ovvero quel trucco quotidiano dietro cui ogni individuo si lascia vivere, rendendo appieno, secondo il mio personale parere, il vero significato del titolo: “L'uomo, la bestia e la virtù”.

Ultimo aggiornamento ( lunedì 15 gennaio 2007 )
 
 
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