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Intervista a Eduardo Kac PDF Stampa E-mail
Scritto da Annalisa Dell'Annunziata   
martedě 16 gennaio 2007
Indice articolo
Intervista a Eduardo Kac
Pagina 2

L’argomento della mia tesi è l’analisi testuale della Computer Poetry. Con questa etichetta faccio riferimento alla poesia automatica e animata, all’olopoesia e alla poesia ipertestuale. Queste esperienze, geograficamente e cronologicamente diverse (perché nate in luoghi e momenti differenti), conducono, come diceva Landow, ad una riconfigurazione dei tre componenti dello schema base della comunicazione, autore-testo-lettore. Qual è la sua definizione di testo?
Ritengo naturalmente interessanti le due novità apportate dalla digital-poetry: una è l’invenzione di una nuova sintassi, prima inesistente; l’altra consiste nel fatto che, mentre negli anni Sessanta i poeti utilizzavano il computer per produrre testi poetici (Nanni Balestrini, per esempio), ora il computer è usato sia per produrre che per leggere poemi. Questa è una grande differenza, che permette al lettore di essere veramente coinvolto col testo; ed è molto più di una conseguenza: al momento sappiamo che il lettore ha la possibilità di accedere al testo attraverso lo strumento digitale e di creare il testo specificamente per quell’esperienza. Tutto questo prima non era possibile.

Riguardo all’olopoesia lei parla di testo immateriale, variabile, mobile; riguardo alla poesia digitale in generale, qual è la sua definizione di testo?
Quello che hai letto riguarda specificamente la poesia olografica e si rifererisce alla tradizione che precede la digital-poetry. La poesia visiva, per esempio, è legata alla materialità del testo. Nel 1983, quando ho creato l’olopoesia, siamo entrati in nuova fase, in cui non era in questione la materialità del testo, ma piuttosto la sua immaterialità. Questa fase è segnata da tre fattori: il primo riguarda la possibilità per noi di avere un laboratorio portatile, il personal computer, dove convergono tutte le arti: testo, immagine suono, movimento; il secondo concerne la crescita del digital network con il mini-tel; il terzo vede la convergenza del primo e del secondo fattore: il personal computer e il global network. Ciò crea un dominio dell’immaterialità del testo. Con l’olopoesia volevo creare un nuovo linguaggio poetico, che fosse il linguaggio di questo tempo. Tutto ciò riguarda la poesia olografica. Ero timoroso di tenere il testo sullo schermo, perché troppo vicino alla poesia visiva. Quando fai un segno sulla pagina, questo blocca il pensiero. Io volevo lanciare il testo nel movimento dello spazio-tempo, non per esprimere il risultato del processo del mio pensiero, ma piuttosto per esprimere il processo del pensiero stesso, permettendo al lettore di diventare creatore del senso, di vivere un’esperienza intensa del testo che cambia, fluttua, sfugge al significato. Quando dici acqua, la parola è fissa ed evoca l’immagine dell’acqua; essa ti dà la falsa impressione della stabilità del testo, perché in realtà è il segno grafico ad essere stabile. Se attacco la stabilità del segno grafico, posso attaccare la relazione stabile tra segno e significato. Il significato è sempre instabile, anche quando un segno è stabile. Per questo ho scelto la luce come strumento.

Qual è il giudizio di valore che stabilisce la differenza tra ciò che è poetico e ciò che è solo creativo?
La poesia cambia sempre: ciò che è stato poesia per Dante non necessariamente lo è per Cummings. Majakovskij disse: “Il poeta inventa il suo linguaggio e la sua sintassi”. Se dopo aver letto Shakespeare guardi l’olopoesia e cerchi di applicare ad essa ciò che conosci grazie a Shakespeare, non troverai ciò utile. Ma se capisci che c’è un nuovo linguaggio, che ha una propria regola, una propria logica e sei capace di capire qual è la regola e la logica, sviluppi un nuovo vocabolario critico, che non paragona l’olopoesia al linguaggio utilizzato dalla tradizione poetica precedente, ma piuttosto aumenta la specificità di quel linguaggio. Nello stesso tempo, l’olopoesia ha qualcosa in comune con la tradizione poetica precedente. Come disse Jakobson, il linguaggio non è al servizio di qualcos’altro, ma delle sue specifiche proprietà. In questo senso l’olopoesia condivide la stessa qualità di tutta la poesia, incluso Shakespeare e Dante. È una questione dialettica.

Qual è l’autore che preferisce in questo momento?
Gli autori che ritengo interessanti, anche se in realtà appartengono ad un dominio non necessariamente poetico, li ho inclusi nella quarta edizione del libro New Media Poetry. C’è un’autrice di San Paolo, Giselle Beiguelman, che lavora con un linguaggio non necessariamente poetico. Le sue opere appartengono ad un contesto letterario, ma non necessariamente cercano di essere poetiche. Giselle Beiguelman, Bill Seamon si tengono ai margini della letteratura.

La teoria dell’interpretazione e le metodologie avanzate sono in grado di seguire queste trasformazioni?
Molte opere critiche sono già state sviluppate a riguardo. In Germania puoi trovare un’interessante discussione critica sulla Computer Poetry; un autore interessante è Friedrich Block. Anche questo autore lo trovi nel mio libro. In Francia, Hugues Marchal è uno dei più importanti critici. In un suo libro, che uscirà fra tre settimane a Parigi, Marchal si occupa della mia raccolta dal punto di vista letterario.

L’olopoesia continua la tradizione della poesia visiva?
Per me la poesia visiva è un momento che porta la poesia oltre il campo concreto. In Brasile, nel 1967-68, un altro movimento, Poema Processo, intende muovere il linguaggio oltre la parola. Una delle idee del movimento Poema Processo vede il poeta proporre un progetto che non deve essere considerato come ultimato: il poeta produce il poema e il ruolo del lettore è quello di cambiarlo leggendolo. Questo è naturalmente diverso dalla Computer Poetry. L’olopoesia è visiva in senso generale, e quando dico poesia visiva non faccio riferimento al gruppo italiano, ma a tutta la sua tradizione, che l’olopoesia continua. Ogni autore, però, produce il suo testo.

Come può la semiotica aiutare la definizione della Computer Poetry? Cosa pensa riguardo Derrida?
Derrida è molto interessante. Con il testo Della Grammatologia ha espresso pensieri molto vicini alla mia arte. Nel tentativo di dare alla scrittura una sua specificità, non dobbiamo pensare che la scrittura sia il secondo supplemento dell’espressione linguistica, ovvero dell’espressione fonetica. Io credo che si possa interpretare qualsiasi cosa foneticamente; posso guardare una tazza di caffé e dire, per esempio, ca-ca-fé-fé. Posso, se voglio, fare di una tazza di caffé una performance. In realtà l’olopoesia non si basa sul principio dell’espressione fonetica; non c’è il desiderio di avere un’espressione orale per l’interpretazione dell’olopoesia, perché essa ha una grammatica basata sulla luce come tipo di scrittura.

Analizzando la condizione testuale della Computer Poetry, non possiamo escludere del tutto la figura del lettore. Nella lettura il testo viene ricreato dal lettore e, in questo modo, l’autore ne perde il controllo. Cosa pensa a riguardo?
Per me questo è molto interessante. Ad ogni dimostrazione di una delle mie opere, l’esperienza di lettura è sempre differente ed io non riesco a controllare tutto ciò. Anche se la materia è lì, ogni esperienza è sempre diversa.

Derrida negli anni Sessanta dice che l’autore perde il controllo sul testo, perchè il lettore può riaprire all’infinito la significazione; Barthes parla, pur non essendo ancora conosciuto l’ipertesto, di nodo e lessia. In questo senso la Computer Poetry è una novità oppure è atto di una condizione poetico-testuale in potenza? La novità riguarda lo strumento o la poesia?
La poesia digitale intesa come cyber poetry, holopoetry, virtual poetry ecc…, rappresenta uno sviluppo naturale della poesia. e.e. Cummings, per esempio, viaggiava sempre con la sua macchina da scrivere, perché non intendeva scrivere i suoi testi, ma comporre la loro forma finale. La scrittura e la composizione erano la stessa cosa e, grazie alla macchina da scrivere, per Cummings ciò era possibile. Quando Cayley parla del passaggio dal codexspace al cyberspace, intende dire che, per andare oltre la logica e la sintassi del libro, bisogna andare oltre.

Bibliografia di riferimento

Kac E., Telepresence and Bio Art – Networking Humans, Rabbits and Robots, University of Michigan Press, USA, 2006.

Kac E., Luz & Letra. Ensaios de arte, literatura e comunicação, Editora Contra Capa, Rio de Janeiro, 2004.

Kac E., Telepresence, Biotelemtics, Transgenic Art, Peter Tomaz and Aleksandra Kostic, Kibla (Maribor, Slovenia), 2000.

Teleporting an Unknown State, Peter Tomaz and Aleksandra Kostic, Kibla (Maribor, Slovenia), 1998.

Kac E., New Media Poetry, Poetic Innovation and New Technologies, “Visible Language”, XXX, n. 2., 1996.

Kac E., HOLOPOETRY. Essays, manifestoes, critical and theoretical writings, New Media Editions, Lexington, 1995.

Kac E., Holopoetry and fractal holopoetry: Digital holography as an art medium, in “Leonardo”, XXII, n. 3/4, 1989.

Kac E., Holopoetry and perceptual syntax, in “Holosphere”, XIV, n. 3, 1986.



Ultimo aggiornamento ( domenica 21 gennaio 2007 )
 
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